La scoperta del week end: le pellicole cromogene
Come (quasi) ad ogni inizio del mese, ho fatto rifornimento di tot pellicole che volevo provare e questo giro pensavo di includere la Ilford SFX 200, una pellicola con una sensibilità al rosso estesa.
Mannaggia ai nomi, ho aperto il pacco e mi sono ritrovata con un rullino di Ilford XP2 400 Super sulla cui confezione campeggiava un bel bollino arancione con scritto “C-41”.
Cosa. Cavolo. Ho. Preso.

Ok, no problema, io sviluppo tranquillamente in C-41. La domanda che mi ronzava in testa era: ma perché fare una B/N che sviluppa in C-41 che, in confronto allo sviluppo tradizionale, è sicuramente più macchinoso?
Ho pensato di chiedere subito al veteran Mattia pensando di ricevere una risposta come “ma perché hai preso ‘sta roba qui?” ed invece, sorpresona, “certo che le conosco, usavo le Kodak”.
Con la diffusione della pellicola a colore e della fotografia in generale, praticamente ovunque ed in qualunque momento si poteva lasciare un rullino a colori ed averlo sviluppato in 1h (o anche meno) grazie ai minilab. Il bianco e nero invece era una cosa “da professionisti” o “amatori-pro” che spesso sviluppavano da sé o comunque avevano un laboratorio di fiducia a cui rivolgersi.
E qui entrano in gioco le pellicole cromogene (chromogenic film), per l’appunto pellicole B/N che richiedono lo sviluppo in C-41 e che dunque potevano approfittare della rapidità dei minilab.
Cenni storici
Il bianco e nero cromogeno viene lanciato nel 1980 da Ilford con la XP1-400 seguita da Agfa con la sua Agfapan Vario XL Professional, sparita praticamente subito.
Entrambe le emulsioni avevano una sensibilità nominale di 400 ISO. La risoluzione era paragonabile a quella delle pellicole B/N 100 ISO ed una grana molto fine.
Dalla metà degli anni ’90, in Giappone, Konica ha avuto un enorme successo offrendo macchine usa e getta B/N classico ed aveva avviato le trattative (poi fallite) con Ilford per poter commercializzare nelle monouso con la XP2 400 Super. A quel punto Konica ha iniziato a produrre una sua B/N cromogena, la VX Pan 400.
Nel 1997 anche Kodak presenta la sua nuova T-Max T 400 CN, che strizzava l’occhio ai professionisti. Questa pellicola, come tutte le altre T-Max, faceva uso della tecnologia T-Grain. Nel 2000 è stata sostituita dalla Portra 400 BW.
Nel 2003, in piena corsa al digitale, Fujifilm stupisce tutti presentando la Neopan 400 CN… nient’altro che una Ilford XP2 400 Super sotto mentite spoglie!
Come sono fatte
Nelle pellicole cromogene, il negativo non è costituito dall’argento ma da una miscela neutra di coloranti giallo, magenta e ciano.
Sono sensibili a tutte le radiazioni dello spettro visibile, dunque pancromatiche.
Queste pellicole sono caratterizzate da copulanti cromogeni, come per le normali CN, ma in ogni strato c’è una miscela di copulanti nei tre colori.
Durante lo sviluppo l’argento fa da catalizzatore per la formazione dei coloranti e li tramuta in sali complessi poi solubili nel fissaggio ed eliminati nel lavaggio finale. L’immagine finale è di colore neutro.
La struttura di queste pellicole prevede due strati di protezione UV ed anti-graffio tra le quali si trovano tre strati pancromatici di diversa sensibilità per sfruttare al meglio l’esposizione. Infine, lo strato anti-halo.
Finito il momento Super Quark (che a me piace molto!) ho deciso di caricarla immediatamente in una Rollei 35 S che avevo da testare. In settimana prevedo di portarla a spasso con me per Milano e vedere cosa ne viene fuori!